giovedì 11 luglio 2013

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Il lampeggiante dello spartineve riflette la sua luce sul vetro della finestra di fronte. Con una tazza di caffè in mano Giovanna guarda la sua auto illuminata da un lampione, una forma tondeggiante, ricoperta da uno strato di cristallo zuccherino. L’ha parcheggiata sotto la luce per un senso di sicurezza, sapendo che avrebbe dovuto uscire molto presto, col buio, anche se da quelle parti, fra i lampioni in strada e i fari di capannoni in lontananza la notte non è mai del tutto buia. Arancione, piuttosto.

Durante la notte ha smesso di nevicare poi la temperatura è scesa sotto zero, ghiacciando la neve sui rami e sulle strade, incrostandola come glassa di zucchero e Giovanna sa che quando sarà fuori si sbriciolerà sotto le sue scarpe, producendo uno strano rumore di vetri calpestati.
Il suono dello sciacquone nel bagno richiama la sua attenzione. Con un sospiro, Giovanna guarda l’orologio appeso alla parete. Prenotare quella gita di un giorno al mercatino di natale, fra le montagne innevate e le luminarie dei vicoli, le era parsa una buona idea. Quando poi l’aveva proposta a lei e le aveva visto spalancare gli occhi e battere le mani in un moto di gioia, l’idea le era sembrata ottima. Ma ora, mentre guarda la sagoma armeggiare nel bagno, una figura distorta dal vetro smerigliato, Giovanna si chiede se quella giornata non sia, in realtà, troppo impegnativa. L’immagine improvvisa di loro due, strette e spintonate nella folla festaiola le fa, per un istante, sgranare gli occhi. Ma subito scuote la testa. Piantala, si dice, se saremo stanche faremo come fanno tutti, ci fermeremo in un bar.

Dal riquadro di vetro la vede aprire e chiudere sportelli, in un rito di preparazione che sembra andare piuttosto per le lunghe. Giovanna riguarda l’ora anche se sa che comunque  sono in anticipo. Aveva preferito svegliarla prima, sapendo che non avrebbe voluto farsi aiutare e avrebbe preteso di fare tutto da sola. Aveva pensato di scuoterla piano, parlandole della gita imminente, per farla passare dal tepore del sonno al calore di una giornata insieme. Ma quando aveva aperto la porta della sua stanza l’aveva trovata sveglia, seduta sul letto, il pigiama lungo, di flanella, che lasciava scoperti solo i piedi, con la punta delle dita che sfioravano il tappeto in movimenti leggeri, come sulla sabbia.
La guardava con quel sorriso appena accennato, il sorriso incerto dei bambini, che inizia ma resta un attimo in sospeso, come per vedere come andrà, e si completa solo se gli si sorride di rimando. Giovanna le aveva sorriso, naturalmente, l’aveva guardata afferrare i vestiti caldi e pesanti scelti insieme la sera prima, ed era andata a farsi il caffè mentre la sentiva chiudersi nel bagno. In realtà chiudeva solo la porta dietro di sé ma le era stato proibito di usare la chiave, su questo Giovanna era stata categorica e, c’era da dirlo, lei ubbidiva.
Sentendo il rumore di un cassetto che viene aperto si ricorda, con sgomento, che si è dimenticata di far sparire truosse dei trucchi. Qualche mese prima aveva voluto che lei le regalasse qualcuno dei cosmetici che non usava più, a patto che li usasse a casa, o in quelle che loro chiamavano le occasioni speciali, ed ora Giovanna si rende conto che è esattamente così che le ha descritto la loro gita: una giornata speciale. Il fatto è che quando usa i trucchi le manca il senso della misura, oltre che quello delle proporzioni e cercare di correggere le carnevalate che ne sono la conseguenza diventa veramente faticoso.
Non importa, pensa, siamo in anticipo e basterà qualche salviettina, basterà toglierne un po’, non tutto, per farla comunque contenta. Pensa alle luci, a come lei le guarderà meravigliata, sarà una bella giornata si ripete Giovanna, con tutta la forza della sua determinazione.

Ora la porta del bagno si apre e Giovanna la vede apparire, un sorriso aperto e convinto sul volto.  Si è infilata i pantaloni a rovescio, i capelli sono mazzetti ispidi sulla testa, irregolari perché non vuole farseli tagliare. Li ha alzati in una specie di cotonatura e le vede le ciocche divise alla meglio, sulla testa. Nei vestiti pesanti sembra ancora più piccola di quello che è, alta non lo è mai stata ma ora sembra rimpicciolita. Ha infilato il maglione sulla maglia del pigiama, il viso ha i colori di una maschera tribale e per un istante, un lunghissimo istante, Giovanna è presa da un senso di sconforto così pesante che sembra schiacciarla in cantina.
Ma poi incontra i suoi occhi, che la cercano felici, ha le pupille grandi e lucide, in attesa che vi si riflettano le luci di una giornata specialissima, speciale, nella sbavatura rossa che le circonda le labbra c’è tutta la gratitudine che non è più in grado, da tempo, di esprimere a parole.
Giovanna le si avvicina con la mano già aperta nella carezza che lei si aspetta.


Come ti sei fatta carina, mamma, le dice sistemandole una ciocca ribelle, chinandosi per darle un bacio.